Sabato 6 agosto alle ore 20 verrà inaugurata la mostra “Zenit” di Enrico Minguzzi a cura di Lorenzo Belli allo Spazio Cappella Marchi presso la Chiesa della Madonna del Carmine di Serravezza (LU). Questo è il terzo appuntamento per l’anno corrente delle mostre organizzate da Alkedo aps nella caratteristica cappella barocca, di proprietà del comune di Seravezza, dove l’arte contemporanea si sposa con gli interni della storico sito versiliese.
Minguzzi è un artista al confine tra figurazione e astrazione che non prende spunto da un confronto diretto con l’oggetto ma compone il suo immaginario per sovrapposizioni di veli, trasparenti e sottili strati di colore, tracciando un processo di proliferazione di forme sospese tra la germinazione e la moltiplicazione esponenziale dei frattali. La pratica manuale, l'intuizione gestuale e la tecnica sono elementi fondamentali del suo modus operandi.
La mostra Zenit prende il nome da quel punto immaginario dell’astronomia osservativa che è intersezione tra il punto dell’osservatore e la sfera celeste e prende spunto dalla genesi costruttiva del luogo, lo spazio Cappella Marchi, che è stato realizzato sull’asse delle coordinate geografiche del luogo. Nelle opere esposte l’artista romagnolo ipotizza un microcosmo organico dove crescono nuove aggregazioni di materia come nuove forme di vita e sembra interrogare l’osservatore su questo tipo di percezione, sulla trasformazione e sulla metamorfosi.
Con Zenit, la sua prima scultura realizzata in materiali compositi, le forme che prima erano fissate sulla tela si fanno materia come una concrezione che dal basso tende a salire verso il cielo. E’ questa ricerca verso l’infinito il suo universo tematico, questa costante ricerca di equilibrio delle forme che sembra fondere anche cromaticamente con la ricerca dei 4 elementi: acqua, aria, terra e fuoco, dappertutto forze si aggiungono e si compensano come cause ed effetti che meccanicamente si incatenano.
Nelle due tele in mostra, “Levante” e “Ponente”, il groviglio di forme prende vita come un paesaggio interiore che sembra sul punto di dilatarsi sprigionando tutta la sua energia.
Come sottolinea il curatore ”Minguzzi definisce le forme ma spetta a noi adattarci, vivere l’immensità delle sue composizioni, decifrare le forme come fossero nuvole plasmate dal vento. Lo spazio interiore aperto, così definito, sconvolge tutti i concetti dimensionali. Per noi non c’è più sistema di proporzioni o scala di riferimento e dobbiamo noi osservatori sottometterci all’interpretazione dopo che l’artista ci ha aperto le porte della sua dimensione.”