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Scritto da aldo grandi
Enogastronomia
01 Maggio 2022

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Raramente Giovanni Panconi, il gestore del più anticolo circolo operaio della Toscana, il Cro di Pietrasanta in via Giuseppe Garibaldi, sbaglia un colpo. Ogni sua iniziativa e ne studia e realizza più di una a settimana, è un successo, un'attrazione, un invito a conoscere a fondo il territorio e la sua storia. Prendete, ad esempio, giovedì scorso, quando è andata, si fa per dire, in scena una cena medievale alla corte di Diego Del Frate docente di storia del cibo. Il solito ambiente caldo, accogliente, rilassante, molto stile anni Settanta, quando non esistevano gli arredi anonimi e ultratecnologici di adesso, ma solo un bancone, quattro tavoli o anche di più e tanta voglia di stare insieme.

Innanzitutto la novità di un'unica grande e lunga tavola intorno alla quale stavano i commensali prenototatisi per il convivio. Niente posate, altra sorpresa, solo e soltanto le mani anche per mandar giù l'insalata di campo e nemmeno per gustare l'ottima stracciatella: rien à faire, scodella alla bocca e stop. 

Diego Del Frate è stato bravissimo nell'accompagnare i presenti, portata dopo portata, alla scoperta di cosa si mangiava, come si mangiava e, soprattutto, come su cucinava il cibo nel medioevo, dal basso a quello alto (di medioevo). Innanzitutto non c'erano i piatti, ma, spesso, solo delle ampie fette di pane che fungevano da base per appoggiare le pietanze. Come primo assaggio, due biscotti all'anice tipo cialda e un panino bianco soffice, quest'ultimo simbolo di benessere a differenza di quel pane nero che anche i nostri genitori, in tempo di guerra, hanno dovuto buttar giù e che noi, adesso, acquistiamo a caro prezzo perché fa bene e anche tanto chic.

Frutta fuor di stagione e mele acide prima di cominciare la cena vera e propria e niente di meglio come del resto, anche oggi, i nutrizionisti consigliano: frutta sempre a inizio pasto se possibile. Poi via con la stracciatella, ma, in particolare, via con il biroldo, una delizia insaccata per chi ama gli insaccati e il maiale in genere, con pasta fritta, un'accoppiata devastante, estremamente godereccia. Insieme, anche i tradizionali crostini coi fegatini di pollo ammollati, abitudine che in Toscana da sempre si ha di bagnare il pane nell'acqua o, meglio ancora, nel brodo che dà maggior sapore.

Ad essere sinceri non è che nel medioevo dovevano passarsela particolarmente bene. Poche le comodità, non c'è che dire, mani sempre unte o quasi e necessità di immergerle in contenitori di acqua e limone. Come ha be raccontato Del Frate, a quell'epoca il vero mangiatore era colui che buttava nello stomaco una notevole quantità di carne cucinata, ovviamente, arrosto e alla brace, oltre, ovviamente, a tutto il resto verdure comprese. Non c'era spazio né pietà per chi amava la moderazione a tavola, veniva, addirittura guardato con sospetto.

L'insalata arriva e nel vassoio la si prende con le mani e avvicina alla bocca, condita, ovviamente. Tutti, dopo qualche attimo di esitazione, si sono immersi nella parte e hanno cominciato a mangiare con gli arti superiori, abitudine disdicevole adesso, un tempo inevitabile e financo sbrigativa. C'è da dire che, in assenza di comodità, ancora una volta l'uomo torna ad essere quel che è sempre stato.

Il piatto e il pezzo forte della serata piomba sulla tavola in ampi vassoi preparati dallo chef che ha ricevuto le opportune indicazioni dal docente di storia del cibo. Le storie e gli aneddoti, le considerazioni e le differenze si susseguono e si rincorrono con una facilità e un godimento inaspettati. Si mangia e si ascolta, si mangia e si impara e ancora una volta di più si scopre che il cibo è cultura e viaggiare è conoscere non solo luoghi e persone, ma anche modi di mangiare e, quindi, di essere. Si è, anzi, si era, realmente, ciò che si mangia(va).

Le salsicce sono uno spettacolo, stupende, leggere e prive di grassi dopo essere state cotte al top. La rosticciana è sublime mentre la scamerita, parte anatomica del maiale compresa fra la testa e il lombo, è buona, ma piuttosto dura da masticare e mandare giù. Molto, molto meglio salsicce e rosticciana. Il tutto scortato da rapini e bietola al burro che, tra le dita - all'epoca, infatti, si mangiava con tre dita almeno chi aveva... educazione, piuttosto che a manciate - ungono meravigliosamente. Inutile aggiungere che la media a testa degli avventori è stata di una salsiccia a testa, mentre chi scrive ha fatto poker e si è fermato perché, paradossalmente, a dieta.

Quarta e ultima imbandigione è stata quella che potremmo definire déssert: strudel, davvero impagabile, frutta secca ossia noci, del formaggio tenero leggermente stagionato per pulirsi la bocca e, infine, l'ippocrasso - siamo stati alla cena, soprattutto, per questo ultimo colpaccio - una bevanda antica a base di vino aromatizzato con spezie, fermentato e addolcito con miele.

Se qualcuno e qualcuno lo ha pensato, che si sarebbe alzato da tavola con la fame, bene, si era sbagliato. Sono anzi, siamo, tutti, belli satolli ossia sfamati a sazietà o giù di lì. Del resto la carne arrostita ha permesso di aggiungere pardon, di raggiungere il full up in breve tempo. Ottima la qualità della carne, bello il taglio di scamerita fatto da Del Frate che ha illustrato le motivazioni che portavano nel medioevo alla tavola la scamerita piuttosto che la bistecca alla fiorentina all'epoca pressoché sconosciuta. 

Davvero una singolare esperienza che ha fornito spunti di riflessione su quello che siamo rispetto a quello che siamo stati e che, troppe volte, dimentichiamo. Impensabile, oggi salvo distopici orizzonti, tornare al medioevo, ma è chiaro che se saltasse tutto il sistema, quello diventerebbe, purtroppo, il nostro futuro. Complimenti a Giovanni e al suo staff, sempre sul pezzo e diamo appuntamento alla cena dedicata al maestro Giacomo Puccini e alla sua cucina.

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